Padre e figlio massacrati per rapina: in aula tre romeni per tentato omicidio

Cividate al Piano, Giovanni Balestra non cammina più per le botte

Adriano Balestra dopo l’aggressione (De Pascale)

Adriano Balestra dopo l’aggressione (De Pascale)

Cividate al Piano, 18 novembre 2016 - È approdata davanti al gup Marina Cavalleri la violenta rapina avvenuta il 9 dicembre 2014 ai danni di Giovanni e Adriano Balestra, padre e figlio, titolari della ditta “BM Costruzioni Meccaniche srl” di Cividate al Piano, che vennero picchiati selvaggiamente dai rapinatori. In particolare, il padre versava in condizioni molto gravi e tutt’ora è costretto a muoversi su una sedia a rotelle e fatica a parlare.

Davanti al giudice, con le accuse di tentato omicidio, tentata rapina e lesioni gravissime, sono finiti tre romeni, che avevano la loro base in un appartamento di Romano di Lombardia e che al momento dell’assalto erano in Italia da pochi mesi: Alin Jan Burujana, 32 anni, Marinel Opra, 28, e Marian Marin, 56 anni. In carcere in Romania, invece, è rinchiuso, per reati commessi lì, il quarto componente della banda, Costel Bucurasteani, 23 anni, per il quale il pm Carmen Santoro chiederà l’estradizione, come ha fatto per gli altri tre, in modo da poterlo avere in aula. Ieri l’udienza preliminare è stata rinviata per un difetto di notifica ad uno dei legali. Si riprenderà il 28 novembre, quando i difensori degli imputati chiariranno le loro intenzioni (è probabile che chiedano il giudizio abbreviato). L’indagine è stata complicata. La banda si era introdotta nella ditta a caccia di rame e altri metalli. I malviventi erano stati scoperti dal figlio, ma anzichè fuggire l’avevano aggredito. Il padre, Giovanni “Nello” Balestra, era arrivato in aiuto del figlio ed era stato picchiato selvaggiamente, colpito alla testa con una sbarra di ferro. I banditi, infine, si erano dileguati sul furgone dell’azienda, trovato in seguito a pochi chilometri dal luogo della rapina violenta, nel Comune di Pontoglio. Sul mezzo nessuna traccia utile. In più le vittime non erano in grado di riconoscere gli aggressori.

Ai carabinieri non era rimasto altro da fare che affidarsi alle telecamere e ai telefonini. Con le prime avevano ricostruito l’itinerario del camioncino. Poi avevano schedato tutte le utenze agganciate a quell’ora – erano circa le 20 – dalle celle che coprono il tragitto. I militari dell’Arma si erano così trovati di fronte a circa 50mila utenze e avevano scartato, perchè considerato residente, chi in quella zona passava frequentemente. In questo modo erano arrivati a una lista di diverse decine di nomi. Grazie alle intercettazioni erano risaliti all’appartamento di Romano, in cui erano state piazzate delle microspie. E dalle conversazioni avevano capito che i quattro avevano lasciato l’Italia subito dopo il raid. Erano stati convocati i conoscenti, dai quali gli inquirenti avevano ricevuto conferme importanti sul fatto che i quattro erano fuggiti in Romania, dove erano stati rintracciati e fermati.