Caso Yara, i giudici sulla condanna di Bossetti: "Movente nelle avances sessuali respinte"

Le motivazioni della conferma in Appello dell'ergastolo. Super perizia ineseguibile perché il materiale genetico è esaurito

Massimo Bossetti (Ansa)

Massimo Bossetti (Ansa)

Brescia, 16 ottobre 2017 - Depositate presso la Cancelleria della Corte d'Assise d'appello le motivazioni della sentenza con la quale nella notte tra il 16 il 17 luglio scorsi, i giudici hanno ribadito la condanna all'ergastolo per Massimo Bossetti, accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio. Le motivazioni sono state stese dal presidente della Corte, per un totale di 376 pagine.  La Corte d'Assise e d'Appello di Brescia ha ricalcato in pieno la sentenza di primo grado, con la quale il carpentiere di Mapello era stato condannato all'ergastolo, l'1 luglio 2016. I giudici hanno dato ragione quindi al procuratore generale, Mario Martani, che aveva chiesto la conferma della sentenza emessa un anno fa dal Tribunale di Bergamo.

MOVENTE - Per i giudici della Corte d'Assise e d'Appello di Brescia il movente che avrebbe spinto Massimo Bossetti a rapire e uccidere Yara Gambirasio "può essere circoscritto nell'area delle avances sessuali respinte, della conseguente reazione all'aggressore a tale rifiuto, unita al sicuro timore dello stesso si essere riconosciuto per avere commesso nei confronti delle ragazza qualcosa di grave". E' quanto si legge in un passaggio delle motivazioni della sentenza. Per i giudici di Brescia il pomeriggio del 26 novembre 2010 Bossetti "stava bighellonando senza gran costrutto e non voleva evidentemente tornare subito a casa dove lo aspettavano i solito incombenti familiari" e l'uscita dalla palestra di alcune ragazze "deve aver esercitato su di lui un indubbio richiamo". Senza contare che il muratore provava un "insistente e perdurante interesse per le adolescenti in età puberale". Bossetti aveva anche "pulsioni sessuali così intense" da manifestarle in una serie di lettere a una detenuta del carcere di Bergamo, Gina, che non aveva mai incontrato di persona. Inoltre "Bossetti aveva litigato con la moglie" all'epoca del delitto e "evidentemente non in quel periodo non aveva rapporti sessuali" con lei. 

SUPER PERIZIA - Per i giudici di Brescia, nonostante sia valida la prova del Dna che identifica Massimo Giuseppe Bossetti come l'omicida di Yara Gambirasio, non è possibile eseguire la super perizia chiesta a gran voce dalla difesa e dallo stesso imputato perché il materiale genetico trovato sugli indumenti della ragazzina è esaurito. Per i giudici, infatti, i rilievi degli avvocati di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, a proposito di una violazione "dei principi del contraddittorio e delle ragioni difensive" riguardo alla prova del Dna sono "del tutto infondati". Non solo. La Corte d'Assise e d'Appello di Brescia spiega che in ogni caso non sarebbe possibile effettuare un'ulteriore analisi per comparare le tracce trovate su slip e leggings della ragazzina e il Dna di Bossetti perché il campione, utilizzato per fare diversi test, è terminato.

PROCESSO MEDIATICO - L'attenzione dei media sul caso di Yara Gambirasio, sempre secondo i giudici, non ha influito sulla "regolarità e la serenità del processo giudiziario". "La difesa - scrivono i giudici - si è anche lamentata del processo e del clamore mediatico che aveva coinvolto la la vicenda di Yara; è indubbio, infatti, che il processo per l'omicidio di Yara, oltre a svolgersi nelle aule di giustizia, con le garanzie a cui si è fatto riferimento, si è svolto parallelamente sui media alimentandosi di notizie vere e false, senza per altro in alcun modo influenzare la regolarità e serenità del processo giudiziario". I giudici fanno notare anche come sia "alquanto singolare e paradossale che la difesa e l'imputato, dopo aver specificamente fatto riferimento" nei motivi d'appello "alla necessità di 'chiudere i giornali, di spegnere la tv, di abbandonare il web e aprire i codici e la Costituzione' abbiano dato il loro consenso, unico tra le pariti processuali, alla ripresa audio e televisiva del processo di secondo grado" che invece non è stata autorizzata dalla Corte. (ha collaborato GABRIELE MORONI)