Bergamo, 21 giugno 2014 - Ha chiesto e ottenuto i giornali. «Voglio vedere cosa scrivono di me». Si mostra provato, ma sicuro. «Non ho fatto niente. Sono innocente. Vorrei gridare che sono innocente», non smette di ripetere. Chiede ansiosamente della famiglia: «Vorrei vedere i miei tre figli». In isolamento nel carcere di via Gleno a Bergamo, Massimo Giuseppe Bossetti continua a respingere l’accusa di essere l’assassino di Yara Gambirasio. Nonostante il macigno del suo codice genetico assolutamente compatibile con quello impresso dal carnefice sugli indumenti della vittima. L’ordinanza del gip Vincenza Maccora che lo trattiene in carcere parla di «gravi indizi di colpevolezza » e di «pericolo di reiterazione del reato» e lo descrive come un uomo crudele.

«Sono state inflitte a Yara sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell’evento. Una condotta particolarmente riprovevole per la gratuità e la superficialità dei patimenti cagionati alla vittima con un’azione efferata, rivelatrice di un’indole malvagia e priva del più elementare senso di umana pietà». Non sussiste alcun dubbio che il muratore di Mapello sia il killer di Yara, ma «il caso non può considerarsi chiuso», avverte il sostituto procuratore Letizia Ruggeri. Nel pomeriggio di ieri i carabinieri del Ris di Parma sono tornati nell’abitazione di Bossetti per ispezionare con il luminol, alla ricerca di tracce ematiche nei locali, sugli abiti dell’arrestato, sul sua autocarro cassonato e sulla Volvo.

Dalle tre piccole tracce ematiche impresse sui leggings e gli slip di Yara è stato ricavato il dna di «Ignoto 1», l’assassino che secondo gli inquirenti oggi è stato svelato. Ma come è finito quel sangue sugli indumenti della piccola Gambirasio? Chi l’ha assalita, colpita, ferita fino alle sevizie, infine abbandonata a morire di lesioni e di freddo fra le sterpaglie di un campo a Chignolo d’Isola, potrebbe essersi ferito con un taglierino (si parlò all’epoca di uno strumento da piastrellista) mentre tentava di tagliare la biancheria della ragazza. Questo anche se il pm Ruggeri spiega che il movente sessuale è da accertare. In vista di un processo che il pm non esclude possa essere celebrato in abbreviato. C’è un’altra circostanze che l’ordinanza indica fra gli indizi da approfondire.

Nel luglio di due anni fa il fratello minore di Yara, sentito alla presenza di una psicologa, raccontò: «Mia sorella aveva paura di un signore in macchina che andava piano e la guardava male, quando lei andava in palestra e tornava a casa percorrendo via Morlotti». «La descrizione dell’uomo — osserva il gip — (aveva una barbetta come fosse appena tagliata) e della sua auto (macchina grigia lunga), riporta l’attenzione a Bossetti, che risulta proprietario di una Volvo V40 grigia e negli anni scorsi portava il pizzetto, come si evince da alcune foto su Facebook». Un altro elemento della descrizione porta invece lontano da Bossetti: il fratellino di Yara descrive l’uomo come «cicciottello», quando invece Bossetti è decisamente magro.

di Gabriele Moroni