Sotto il Monte (Bergamo), 25 aprile 2014 - Pochi mesi prima di cedere al male, Giovanni XXIII venne sfiorato dalla idea delle dimissioni. La testimomianza è di Loris Francesco Capovilla, oggi cardinale, per dieci anni segretario di Roncalli, prima patriarca di Venezia, poi papa. Una testimonianza contenuta in un memoriale dal titolo significativo e anche profetico se si pensa alla clamorosa decisione presa trent’anni dopo da Benedetto XVI: «Il papa può dimettersi?». Firmato e datato 11 ottobre 2002.

Scrive Capovilla: «È scolpito nitidamente nella mia memoria il colloquio col vescovo Alfredo Cavagna, confessore e consigliere di Giovanni XXIII, un venerdì di quaresima 1963, pomeriggio, di cui all’istante non fissai sulla carta il contenuto: monsignore esce dalla stanza del Papa dopo averne ascoltato la confessione ed essersi intrattenuto con lui a lungo sugli schemi del Concilio. Mi fa chiamare in Salone e senza preambolo, supponendo forse che io sapessi qualcosa, mi dice che il Papa non può dimettersi. Lo esclude Pio XII nella Costituzione “De Sede apostolica vacante” (8 dicembre 1945) e cita il paragrafo 99.

È evidente che nel corso della conversazione, Giovanni XXIII, considerato il suo stato di salute e in previsione dell’immane lavoro previsto nella prosecuzione del Concilio, deve essersi dichiarato disposto a rinunciare al papato. Rispondo a monsignor Cavagna, che mi pone il quesito: “Conosco la Costituzione di Pio XII, letta durante il Conclave del 1958. Con quella esortazione Pio XII incoraggia il designato ad accettare il voto dei cardinali elettori e a non sottrarsi alla volontà divina. Non tocca per nulla il tasto delle dimissioni”. Mons. Cavagna non insiste oltre, e mai tornerà con me sull’argomento. Papa Giovanni con me non fece alcun cenno in proposito. In lui l’abbandono in Dio faceva tutt’uno con la sua fede. “Voluntas Dei pax nostra”».

Capovilla appunta un’altra annotazione: «A persone tentate di dimettersi, Giovanni XXIII soleva dire: “Il buon ecclesistico non dà le dimissioni. Sottopone la sua situazione all’autorità superiore e lascia ad essa di decidere”». Un momento di umana debolezza di fronte all’avanzare della malattia o un proposito che andava formandosi? Papa Roncalli non cede alla prima e non dà seguito al secondo, se mai è esistito. È sempre più cosciente della terribile verità che gli viene prospettata. «È l’ultima volta che vedo sulla terra i miei fratelli». È venerdì 5 aprile 1963. Sussurra queste poche parole alle persone che gli sono attorno, fra cui il fotografo pontificio Luigi Felici, al termine della messa alla quale hanno assistito i fratelli Giuseppe e Zaverio. Il loro ultimo incontro avverrà pochi giorni prima del 3 giugno, quando il papa terminerà la sua parabola.

«Nel momento - dice Marco Roncalli, pronipote e biografo del papa di Sotto il Monte, autore di un recentissimo “Papa Giovanni, il Santo, pubblicato dalle Edizioni San Paolo-Paoline” - in cui prende coscienza della malattia, accarezza il pensiero delle dimissioni. E’ significativo che ne parli con monsignor Cavagna, che non era solo il suo confessore ma anche un vero direttore spirituale. Direi una delle persone che gli sono state più vicine, davvero poche: Capovilla, monsignor Angelo Dell’Acqua, sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Francesco Lardone, una personaggio meno conosciuto di altri, ma che come nunzio apostolico in Turchia rappresentava il fronte verso l’oriente, un punto di riferimento per il papa».

Sussurri di dimissioni per ragioni di salute sfiorarono anche Paolo VI, pontefice da soli tre anni. Si volle dare questa interpretazione alle parole pronunciate quando, il primo settembre1966, rese omaggio a Pietro del Morrone, il Celestino V del «gran rifiuto» dantesco. Nella rocca di Fumone, nel Frusinate, che fu la sua prigione, il papa esaltò con parole inequivocabili il frate eremita che, «in queste storiche mura», salvò «con l’eroica rinuncia, con la prigionia e con la morte, l’unità della Chiesa». Una riabilitazione in piena regola dopo i fulmini dell’Alighieri. Montini rimase sul soglio pontificio fino alla morte, il 6 agosto 1978.

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