Adottano bambino in Congo: iter bloccato e silenzio da mesi

Coppia di Dalmine al ministro Boschi: «Ci porti nostro figlio»

Un bimbo congolese fa le trecce al ministro Boschi durante il viaggio verso l'Italia (Ansa)

Un bimbo congolese fa le trecce al ministro Boschi durante il viaggio verso l'Italia (Ansa)

Dalmine, 26 maggio 2016 - Da 18 mesi non hanno più nessuna notizia del loro bambino che hanno adottato tre anni fa, nel 2013, quando aveva 6 anni. Una situazione che si è trasformata in un indicibile rompicapo per Davide Schiavon e Carla Burini, marito e moglie di Dalmine, che fanno parte di quelle famiglie che da anni chiedono di sbloccare l’iter burocratico che in Congo impedisce a 59 bambini di abbracciare i genitori in Italia.

I coniugi bergamaschi ieri mattina si sono recati a Roma per incontrare il ministro Maria Elena Boschi, che da due settimane ha ricevuto la delega per le adozioni. Con loro, numerosi nuclei familiari, provenienti da tutta Italia, che invocano una soluzione al problema, bloccato per una serie di motivi tecnici, tra i quali le lungaggini nel rilasciare il visto in uscita da Kinshasha che hanno impedito alle famiglie di portare i bambini in Italia. «Noi – spiegano i coniugi bergamaschi – non abbiamo fatto parte della delegazione che ha incontrato il ministro nel suo ufficio. Ci ha comunque rassicurato che, rispetto al passato, ci sarà un deciso cambio di passo. Non ha, però, parlato di tempi. Non ce la facciamo più. Nonostante siamo i genitori, non possiamo neppure andare a prendere i bambini in Congo».

Un ulteriore nodo è rappresentato dal fatto che Davide e Carla hanno adottato il figlio nella zona di Goma, che è più defilata rispetto alla capitale Kinshasha (si trova nella provincia orientale del Paese), una città martoriata dalla povertà e dalla guerra, dove alcuni bambini sono bloccati in un istituto. «Da 18 mesi non abbiamo più nessuna notizia del nostro bambino – rivelano i coniugi Schiavon –. Quando lo abbiamo adottato aveva sei anni, ora ne ha nove. Al ministro Boschi chiediamo un intervento risolutivo. Nel 2014 è andata in Congo e ha portato in Italia 130 bambini. Se può servire faccia la stessa cosa adesso. O consenta a noi di farlo. Perché la nostra pazienza è finita, non ce la facciamo più ad aspettare. Questa attesa amplifica il nostro dolore ed il senso di solitudine e di impotenza. I nostri bambini sono forse diventati un problema meno importante di altri?».

«Riteniamo – concludono i coniugi bergamaschi – che sarebbe fondamentale, oltre che doveroso, dopo anni di forzata lontananza dei nostri figli, poter quantomeno instaurare un dialogo franco e continuato con le istituzioni, onde poter finalmente apprendere cosa stia davvero accadendo a livello di dplomazia internazionale».