Caso Yara: "Cosa facevi a Brembate da lei?". Bossetti alla moglie: non ho alibi

Intercettazione ambientale in cella. Chiusa l'indagine, omicidio con crudeltà. Il colloquio con la moglie: "Ho paura di non riuscire a spiegarlo. Sono molto preoccupato" di Gabriele Moroni

A sinistra, Massimo Bossetti, a destra, la moglie Marita Comi

A sinistra, Massimo Bossetti, a destra, la moglie Marita Comi

Brembate Sopra, 27 febbraio 2015 - Indagini concluse a quattro anni dal ritrovamento del corpo di Yara Gambirasio, fra le sterpaglie di un campo a Chignolo d’Isola. Il sostituto procuratore di Bergamo, Letizia Ruggeri, ha firmato l’avviso di chiusura delle indagini, preludio della richiesta di rinvio a giudizio, per Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Mapello in carcere come unico indagato. Il pm contesta all’artigiano l’omicidio della tredicenne di Brembate di Sopra e anche la calunnia nei confronti di un collega di lavoro.

Omicidio volontario con due aggravanti già contestate nella prima ordinanza di custodia in carcere del gip Vincenza Maccora. La prima è da ergastolo: avere agito con crudeltà e sevizie per avere colpito la vittima con tre colpi (o pugni) al capo e avere inferto «plurime coltellate» in diverse parti del corpo. La seconda aggravante è quella della «minorata difesa»: per avere profittato di circostanze di tempo (ore serali e notturne), di luogo (in un campo isolato) e di persona (un uomo adulto contro una adolescente di tredici anni», «tali da ostacolare la pubblica e privata difesa». Un'altra circostanza si aggiunge contro Bossetti: una intercettazione ambientale nel carcere di Bergamo. Il detenuto è a colloquio con la moglie Marita Comi. «Dimmi cosa ci facevi davanti alla palestra di Yara il giorno in cui è scomparsa», avrebbe chiesto la donna con insistenza. Vaga la risposta del marito: «Non lo so, temo di non riuscire a spiegarlo». Bossetti ha anche un altro pensiero che lo turba: «Sono davvero molto preoccupato e non ho alcun alibi che possa giustificare la mia presenza nei pressi della palestra nelle ore precedenti la sua scomparsa (la sera del 26 novembre del 2010, ndr)». È il giro di boa delle indagini. Con la novità dell’accusa di calunnia. Il nome di Massimo Maggioni, imprenditore di Brembate di Sopra e socio del cognato di Bossetti, Osvaldo Mazzoleni, era stato fatto dall’indagato nell’interrogatorio col pm dell’8 luglio scorso, chiesto da lui stesso e durato un paio d’ore. «Soffro di epistassi – aveva premesso –, spesso perdo sangue dal naso». Di frequente si ripuliva con un fazzoletto che poi gettava nell’immondizia del cantiere di Palazzago dove lavorava. Maggioni era una delle persone più presenti nel cantiere e avrebbe potuto avere a disposizione anche tutto quello che veniva abbandonato a terra o gettato nella spazzatura. Bossetti aveva aggiunto che al socio del cognato piacevano le «ragazze giovani». L’imprenditore era stato pedinato, intercettato e interrogato senza che sul suo conto emergesse alcuna nube.