Papu Gomez: "Sognavo l’Italia, ora volo da Messi"

Intervista esclusiva al capitano dell'Atalanta: "A Buenos Aires resisto 20 giorni, Bergamo è casa mia"

Papu Gomez riceve la targa de "Il Giorno" da Giulio Mola, a sinistra, e Paolo Croce

Papu Gomez riceve la targa de "Il Giorno" da Giulio Mola, a sinistra, e Paolo Croce

Bergamo, 4 ottobre 2017 - Centossesantacinque centimetri di contagiosa simpatia, talento, carattere, carisma. Calcisticamente parlando, un concentrato di tecnica, velocità, dribbling, intelligenza e follia.Miscelare tutto ed ecco apparire la sagoma del Papu Gomez, capitano coraggioso della bella e spregiudicata Atalanta, reduce da due pareggi straordinari contro Lione e Juventus. Un uomo ed una squadra che hanno portato la Bergamo del pallone ad affacciarsi dai piani nobili del nostro calcio facendo impazzire di gioia la città intera. Lo incontriamo a Zingonia per consegnargli la “targa“ del Giorno, alla vigilia della sua partenza per l’Argentina con la quale giocherà due gare decisive di qualificazione ai Mondiali, contro Perù ed Ecuador. Altro meritato riconoscimento dopo stagioni esaltanti. Foto, strette di mano, sorrisi, autografi tenendo stretta quellamaglia col suo nome che indica sempre col ditino ogni volta che fa gol. Giusto per presentarsi a chi non lo conoscesse. Sembra di essere fra amici, ti mette a tuo agio, poi apre lo “scrigno“ dei segreti in una piacevole chiacchierata dove parla di tutto: carriera, privato, sogni, rimpianti, futuro. Con sincerità e serenità, le stesse che ha sempre mantenuto anche nei momenti più difficili, quando il destino lo ha prima illuso e poi deluso. Tanti avrebbero avuto problemi a “metabolizzare“, non il Papu grazie al suo carattere straordinario. Sognava l’azzurro ma poi lo Statuto Fifa glielo ha negato, sentiva aria di grande club e invece si è dovuto accontentare della sana provincia. Ma quelle opportunità scivolate via non gli hanno tolto il sorriso, per questo dappertutto lui è l’idolo dei tifosi.

Partiamo dal soprannome, il Papu. Sembra uno uscito dal mondo dei cartoni animati...

"Così mi chiamava mia madre da piccolo. È una parola intraducibile, diciamo un vezzeggiativo".

Sia sincero: si è mai sentito penalizzato dalla sua altezza?

"No di sicuro. Guardate, baricentro basso, scatto, finte, dribbling. Cos’altro potrei chiedere di più?" 

Ha ragione. Del resto l’Argentina è abituata ai piccoletti terribili. A proposito, meglio il suo destro il sinistro di Messi? Non faccia il modesto...

"Guardi che anche il destro di Leo è migliore del mio, non solo il sinistro, perché può far male in qualsiasi momento. Però anche ilmio destro non è male... (sorride)".

È in partenza per l’Argentina, finalmente qualcuno si è accorto di lei dieci anni dopo la conquista del mondiale under 20. Immagino quanto sia felice di giocare con uno come Messi...

"Vero. Con Leo ci siamo incrociati nelle rappresentative minori quando avevo 15 o 16 anni, ho giocato in tutte le rappresentative dagli under 16 agli under 20. Ripenso alla squadra con cui vincemmo nel 2007, c’erano Aguero, Di Maria, Banega... Un gruppo fortissimo. Per la nazionale maggiore ho dovuto aspettare un bel po’ di anni. Ma per me non è mai troppo tardi, ora sono nel pieno della maturità".

E pensare che avrebbe potuto indossare la maglia azzurra...

"Vero. Ventura mi parlò e c’era questa possibilità, avendo il doppio passaporto. Poi scoprimmo quella norma del regolamento Fifa, e avendo giocato con l’Under 20 dieci anni prima non avrei potuto indossare la maglia azzurra. Ammetto che ci rimasi male, era il mio sogno. Anche perché dopo tanti anni trascorsi qui mi sento italiano, questa nazione è la mia casa".

Visto che col cuore lei è quasi divisoametà, riesce ad immaginare un mondiale senza Argentina e Italia?

"Proprio no, credo che sia difficilissimo possa succedere. Rappresentano la storia del calcio, due potenze. Sono convinto che ce la faranno a qualificarsi".

Lei e Icardi portate qualcosa di nuovo al fianco di Messi... 

"Abbiamo grandi motivazioni ed entusiasmo. E anche la Nazionale ha bisogno di volti nuovi".

Ha accarezzato il sognoazzurro ma poi ha visto realizzarsi il ritorno con la Seleccion. Tutto ciò da quando è all’Atalanta, mica una coincidenza... 

"Verissimo, con l’Atalanta sono arrivato dove mai avrei sperato. Venivo da una esperienza non proprio positiva in Ucraina con lo Shakhtar, costretto ad andar via per il caos politico. Al ritorno in Italia l’Atalanta mi ha dato fiducia e soprattutto una grande opportunità, le ultime due stagioni sono state fondamentali per la mia crescita".

Un paradosso: lei ambiva ad una piazza importante edambiziosa e ha trovato la sua dimensione di uomo e giocatore a Bergamo. Portando comunque la squadra in Europa.

"Solo chi vive questa realtà può capire quanto faccia bene. Quello dell’Atalanta è un ambiente tranquillo che nulla ha da invidiare ai top club italiani. C’è un centro sportivo all’avanguardia, una città seria, un allenatore preparato, una bella città in cui si vive bene. E poi ci sono i tifosi caldissimi... In questo ambiente non puoi pensare solo alla salvezza".

L’Atalanta in due parole...

"Un’oasi tranquilla. Quando manca la tranquillità non scendi in campo sereno. Qui invece la gente ci coccola, ci vuole bene, ci rispetta".

Cosa vuol dire per lei essere il leader dell’Atalanta, il capitano?

"Un orgoglio immenso. Sono andati via tanti senatori, capisco che tocchi a me prendere per mano i più giovani. Mi sono sempre sentito un po’ leader in campo, ma essere capitano è ancora più bello. Ho l’età per farlo, I tifosi mi vogliono bene, mi conoscono, sanno chi sono. Perciò la fascia che porto è una motivazione in più anche se poi cerco di esserela stessa persona di sempre, educata e rispettosa. Uno che dà il massimo in campo".

Non le capita mai di avere nostalgia dell’Argentina?

"Ci torno con piacere per trascorrere le vacanze ma faccio fatica a stare più di 20 giorni. Non ho mai sofferto di nostalgia come tanti sudamericani, anche quando ero più giovane mai mi capitava di contare i giorni che mancavano al ritorno in patria. A maggior ragione adesso, anche perché la mia famiglia sta bene a Bergamo".

Come vive a Bergamo uno nato a Buenos Aires?

"Che differenza...la capitale dell’Argentina è un casino pazzesco, peggio di Roma. Sono 15 milioni di abitanti, mentre qui a Bergamo sono abituato alla tranquillità. Non c’è delinquenza, si cammina senza problemi... ripeto, Bergamo e l’Italia sono casa mia. Dove vivo sereno con i miei due bambini Bautista e Constantina e miamoglie. Stare a Bergamo per noi sudamericani è come vivere in Paradiso".

Ci parli del suo tempo libero...

"Adesso ne ho un po’ di meno visti gli impegni (risata), ma faccio un po’ di tutto. Qui ho aperto anche un centro medico sportivo perché preparazione e alimentazione sono i miei due pallini, quando posso vado a prendere i bambini a scuola emangiamo fuori".

Poi è piuttosto presente sui “social“...

"Giusto far capire ai tifosi che non siamo marziani. Cucino l’asado, mi diverto con i miei figli, e quando ho tempo gioco a tennis» Il ricordo più bello delle sue tre stagioni e oltre fin qui trascorsa a Bergamo? «Mi vengono in mente alcuni gol, ma soprattutto quel che accadde dopo la vittoria 2-0 a Napoli lo scorso anno. Tornammo in città e l’aeroporto era completamente bloccato dai tifosi pazzi di gioia... una scena indescrivibile e che mi ha commosso. E poi la festa dopo la gara col Chievo che ci portò in Europa, ma pure le prime due partite in Coppa quest’anno...".

Sa cosa diverte quanto i suoi gol? La Papu dance...

"Chissà, potrei aprire una scuola di ballo.. scherzi a parte, è nata quasi per gioco. Il ballo col Papu era ed è un modo per aiutare dei ragazzi con dei problemi ed è bello che si sia riusciti a centrare l’obiettivo... Magari faremo qualcosa di simile in futuro, ma sempre con l’obiettivo di dare una mano a chi ne ha bisogno".

Dalle soddisfazioni al capitolo... rimpianti. Non c’è solo la maglia azzurra mancata, ma pure trasferimenti eccellenti che non si sono realizzati...

"Due su tutti, Atletico Madrid e Inter. Senza dimenticare Fiorentina, Milan, Lazio... Gli allenatori mi volevano, poi succedeva sempre qualcosa, per esempio catania e Atletico non si misero d’accordo sui soldi, ma non quelli che volevo io. Certo, l’Atletico è il rimpianto più grande, nel 2014 vinse la Liga... Diciamo che ho avuto sfortuna, anche con l’Inter, visto che Stramaccioni mi aveva chiamato. Ma preferisco non guardare ciò che ho perso piuttosto quello che holasciato, e ovunque abbia giocato ero un idolo. E questo mi riempie d’orgoglio".

Passo indietro, alla scorsa estate. Quanto è stato vicino al Milan?

"Vicino vicino mai... mentre sono stato ad un passo dalla Lazio» Montella disse: “Il Papu parla troppo...“. Una sentenza? «No, il mister mi conosce bene. Io so che mi voleva, poi se hanno scelto altri attaccanti meglio così. Io sono una persona onesta, quando parlo non prendo in giro nessuno".

La classifica indica che l’Inter di Icardi è più forte del Milan rifatto...

"Entrambe hanno bisogno di tempo. Però hanno organici molto competitivi".

E l’Atalanta dove può arrivare, alla luce dell’ultimo doppio grande risultato contro Lione e Juve?

"Fra 5 o 6 partite potremo dirlo. Credo che si potrà ancora lottare per l’Europa, e lo stiamo dimostrando. Sono poche le squadre che riescono a tenere testa alla Juve e una di queste siamo noi. Ma anche in Europa League cominciano a conoscerci... Dobbiamo far felice la gente che ci segue ovunque e che ha fatto la coda per abbonarsi".

Il difensore più forte che ha incontrato?

"Ho sempre faticato tantissimo con Roncaglia".

L’attaccante più forte del campionato?

"Mertens, eccezionale nei movimenti".

Il prossimo giovane atalantino che esploderà?

"Il difensore Mancini".

 L’allenatore con le idee più nuove e moderne?

"Non ho dubbi, il nostro Gasperini".

Lo scudetto chi lo vince?

"Juventus o Napoli. Noi purtroppo non ci siamo".

E in Champions chi va?

"Juventus e Napoli di sicuro, poi vedo bene Inter e Roma. Il Milan proverà a giocarsela".

E il Papu Gomez quanti gol vorrebbe segnare?

"15-16 in tutto. Una decina in campionato e la metà nelle coppe mi bastano...".

Lei dice che è innamorato dell’Italia. Che è casa sua. Qualche pregio e qualche difetto?

"La gente e la cultura sono molto simili a quelle argentine, perciò mi trovo bene. Calcisticamente parlando dico le infrastrutture. Gli stadi sono vecchi e poco sicuri, per questo molti campioni non vengono a giocare qui».

A proposito: lei giocherà nel nuovo stadio che il presidente Percassi vuol regalare a Bergamo e all’Atalanta?

"Quest’anno resto qui di sicuro, ma la prossima stagione chi lo sa... Spero solo che il presidente faccia subito per non dover aspettare tanto".