Alla sbarra gli ultrà dell’Atalanta: l’accusa è associazione a delinquere

Udienza preliminare il 18 giugno per “il Bocia” e cinque fedelissimi

 Oltre cento tifosi dell’Atalanta sono nei guai giudiziari

Oltre cento tifosi dell’Atalanta sono nei guai giudiziari

Bergamo, 30 marzo 2015 -  Avrà un’importante appendice il maxi processo che si sta celebrando in queste settimane contro 143 tifosi atalantini e catanesi, accusati di una serie di reati da stadio avvenuti dal settembre 2009 fino al maggio del 2012: la più grande inchiesta contro il tifo organizzato avviata in Italia. Il 18 giugno prossimo è infatti in programma, davanti al gup Ezia Maccora, l’udienza preliminare per l’altro filone processuale che riguarda gli ultrà: quello che vede contestato dal pubblico ministero Carmen Pugliese il reato di associazione per delinquere al leader della Curva nord dello stadio di Bergamo, Claudio Galimberti, meglio conosciuto con il soprannome di “Bocia”, e a cinque suoi fedelissimi: Andrea Piconese, Luca Valota, Davide Pasini, Andrea Quadri e Giuliano Cotenni. Nei guai è finito anche Daniele Belotti, segretario provinciale della Lega Nord, grande rifoso dell’Atalanta, per il quale l’accusa ipotizza il reato di concorso esterno nell’associazione.

Il pm chiede il rinvio a giudizio di tutti e sette gli indagati. La vicenda ha vissuto due tappe. La prima risale al 28 febbraio 2014, quando il gup Patrizia Ingrascì dichiarò estranei all’associazione per delinquere il politico-tifoso Daniele Belotti e i sei supporters atalantini, già imputati nel maxi processo che si sta celebrando in tribunale davanti al giudice Maria Luisa Mazzola per una serie di disordini a cui il sadalizio sarebbe, per l’accusa, finalizzato. La seconda risale invece al 4 novembre scorso, allorché la Corte di Cassazione annullò la decisione del gup Ingrascì e cassò il proscioglimento dalla contestazione di associazione per delinquere di Galimberti e soci e quello di Daniele Belotti per il presunto concorso esterno.

Una sorpresa per i legali degli indagati, che ricordano come “lo stesso procuratore generale presso la Corte di Cassazione, presentando il ricorso della procura di Bergamo, ne aveva chiesto il respingimento”. Secondo la Cassazione, invece, “bisogna tornare a discutere”, andando in direzione opposta al parere espresso dal gup Patrizia Ingrascì e a quello del gip Alberto Viti, che nel 2011, nella fase delle misure cautelari, per primo non aveva riconosciuto la sussistenza dell’associazione per delinquere.

Nel febbraio 2014 il proscioglimento era scattato per un motivo di fondo: secondo il giudice dell’udienza preliminare, gli scontri e tutti gli altri reati contestati agli ultrà erano “estemporanei, reazioni a situazioni contingenti”. Il pm Carmen Pugliese, però, nel suo ricorso, aveva citato tutta una serie di intercettazioni telefoniche che dimostrerebbero “una chiara programmazione”. L’ultima parola adesso spetta al gup Ezia Maccora.