Per amore e per interesse, il tormentato rapporto dell'Atalanta con la curva

"Siamo orgogliosi di una cosa: non abbiamo mai preso un soldo dall’Atalanta. Quello che facciamo, lo facciamo per passione" di LUCA GUAZZONI

Antonio Percassi si presenta su un Mig alla festa dei tifosi

Antonio Percassi si presenta su un Mig alla festa dei tifosi

Bergamo, 14 febbraio 2016- "Siamo orgogliosi di una cosa: non abbiamo mai preso un soldo dall’Atalanta. Quello che facciamo, lo facciamo per passione". L’importanza della Dea per i suoi tifosi più dediti prevarica i soli dati di presenza allo stadio: nelle prime 12 partite del campionato la media di spettatori all’Atleti Azzurri d’Italia è stata di 15.020, in linea con il 15.160 della stagione precedente; mentre per la promozione in Serie A (maggio 2011) erano oltre 50mila le persone in piazza ad applaudire Cristiano Doni e compagni. Ma resta soprattutto la Festa della Dea a far registrare numeri unici nel mondo del calcio nostrano: la celebrazione del tifo richiama più di 70mila presenze in sei giorni.

Le polemiche. È però proprio la location della Festa a dare un appiglio a chi critica il rapporto della curva con il presidente Antonio Percassi. La festa si svolge infatti a pochi metri dall’Oriocenter, su un terreno di proprietà del numero uno bergamasco. Un regalo che per alcuni fraintende quella distanza che dovrebbe esistere tra un club e la fronda del tifo organizzato. «Percassi ci permetteva di svolgere qui il nostro gala già prima della sua presidenza», dicono gli ultras. Una tradizione continuata anche dopo il 2010 (estate in cui l’imprenditore ha rilevato l’Atalanta dalla famiglia Ruggeri) e a cui Percassi partecipa con entusiasmo, a differenza dei suoi predecessori. Goliardia o eccesso di foga, le coreografie finiscono da sempre a far discutere: il carro armato che schiaccia le auto dipinte con i colori e gli stemmi di Roma e Brescia, il presidente che arriva su un Mig russo all’urlo di «bombardiamo la Serie A», o la squadra che si presenta su un treno tinto di nerazzurro.

L'inchiesta. Le carte parlano di «pressioni» degli ultras per spingere Alessandro Ruggeri, figlio del compianto Ivan e allora - con i suoi 23 anni - più giovane presidente di un club di A, a vendere la squadra a Percassi. Una matassa ancora irrisolta. Di certo ci furono un raid dei tifosi a Zingonia (al campo di allenamento), i volantini di contestazione, la bomba carta davanti a casa e il consiglio dato all’ex presidente di non vedere allo stadio Atalanta-Reggina per non correre rischi. Altri invece parlano di «pressioni», di «suppliche», fatte a Percassi per salvare il club dal fallimento visto che la società, con la retrocessione, si era ritrovata con più di 30 milioni di euro di passività.

Il punto è che il peso dell’Atalanta è unico. Sono caduti questori (Turillo dopo i fatti della Berghem Fest di Alzano), si sono scatenate polemiche e i candidati sindaci sfruttano la Dea per perorare la propria campagna: anche l’attuale primo cittadino, Giorgio Gori - milanista per ogni biografia - si è spesso recato allo stadio a tifare l’Atalanta sotto elezioni. E ora, dopo gli scontri con l’Inter, chiede a Percassi «comportamenti coerenti da parte della società e della tifoseria organizzata. Zero rapporti con gli ultrà violenti, nessuna mediazione e collaborazione con le forze dell’ordine per la loro identificazione». Percassi non dribbla affatto l’assist («È far male a Bergamo, è ferire l’Atalanta») ma non chiedetegli mai di abbandonare i veri tifosi dell’Atalanta, lui che ne è il primo.

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